Questo racconto va controcorrente ma è la storia di come, inaspettatamente, mi sono avvicinata all‘Intelligenza Artificiale per il mio lavoro. E lo racconto in questo diario semiserio di una traduttrice freelance e l’IA.
Era una mattina come tante. Avevo già preso un caffè e stavo osservando il pc con le mani serrate sulla mia tazza bollente di thè alla menta. Quella traduzione era la più grande che avessi mai dovuto fare. Non riuscivo nemmeno a capire da che parte iniziare e poi, il fatto che fosse un mercoledì non aiutava.
Non so per quale motivo ma io odio il mercoledì; non è inizio settimana ma nemmeno fine. È una metà, un giorno ignavo che non sa assolutamente di nulla, uno di quelli in cui alla sera non fanno mai film interessanti e non ci sono mai eventi in zona. Un pò sciapo come il tofu.
La data di consegna per quella traduzione, comunque, era troppo vicina ma le negoziazioni con il cliente si erano concluse a più budget, meno tempo. Quindi, facendo due conti mi ero ritrovata ad accettare, spinta sia dal rendiconto economico che dall’argomento interessante: una traduzione inglese per una gara nautica di importanza mondiale.
La mia traduzione, da inglese ad italiano, sarebbe infatti finita dritta sulla brochure distribuita durante questo evento, a Barcellona. Un pregio immenso. (Nota per chi non lo sapesse: nove volte su dieci, e a meno che non si tratti di un concenuto editoriale, il nome del traduttore non viene MAI citato. Noi traduttori e traduttrici siamo come gli stuntman nel mondo del cinema. Siamo quelli che fanno il lavoro “sporco” ma che vivono nell’ombra. Chissà che un giorno venga istituito anche per la nostra categoria un qualche riconoscimento per le traduzioni elaborate, proprio come l’Academy ha deciso di fare creando una premiazione ad hoc per “the Best Stuntman”, a partire dal 2027).
Un sorso di thè bollente, e via… diamoci dentro. Il testo era condito oltre che di paroloni sportivi del settore nautico, anche commerciali tipo synergize, core-business e game-changer.
Ad un certo punto ho fatto quello che non avevo mai fatto prima. Ho consultato ChatGPT per verificare come avrebbe tradotto questi termini. Li ho inseriti uno di seguito all’altro, quasi come se si trattasse di un glossario tecnico: un elenco di termini specifici che ChatGPTontolone, come l’ho sempre chiamato io, era chiamato a tradurre.
In un attimo eccoli lì, i 79 termini specifici che mi avrebbero incatenata ad almeno 3 ore di lavoro alla ricerca della costruzione di una traduzione corrispondente per ognuno.
No, non era la prima volta che usavo un traduttore automatico. In realtà, noi traduttori e traduttrici lo usiamo da diversi anni… molti di più di quelli che credi. Si tratta di software di traduzione assistita, i cosiddetti “Cat Tool“. Non hanno nulla a che fare con i gatti (cat), quello è semplicemente l’acronimo di Computer Assisted Translation e ciò che fanno è esattamente questo: sono assistenti di traduzione. Verificano che non ci siano errori ortrografici, che il testo tradotto rispecchi esattamente quello originale sia nella punteggiatura che nella formattazione in generale e, soprattutto, danno una prima traduzione automatica inserendo termini tecnici e parole che noi traduttrici compiliamo creando glossari specifici. Così, all’interno di una traduzione medio-lunga puoi evitare di annotarti su un blocchetto che un termine specifico va tradotto in un certo modo. È il CAT Tool a memorizzarlo e a riproporlo e a noi traduttori sta il compito di verificare e controllare che tutto quadri e abbia senso.
Però se il CAT Tool era qualcosa a cui ero abituata, ChatGPTontolone no… non ancora, almeno.
Ma aveva fatto un lavoro discreto ed il mio scetticismo aveva iniziato a vacillare.
In realtà, tanti miei colleghi e colleghe diffidano da ChatGPT e l’Intelligenza Artificiale. Alcuni perché sono consci del fatto, almeno fino ad oggi, una macchina è una macchina e senza l’uomo non impara. Altri per timore. Fatto sta che anche io ho trascorso gli ultimi anni a seguire l’arrivo delle intelligenze artificiali con una certa ansia. Articoli apocalittici, webinar di settore allarmanti, meme inquietanti (“La fine dei traduttori è vicina!”). Più volte mi sono chiesta “Ma se un algoritmo può tradurre 10.000 parole in un minuto… a che servo io?”
La risposta è arrivata iniziando ad utilizzare proprio ChatGPT e l’IA, quegli strumenti che tanto stavo rifuggendo. Come traduttrice, la mia voce, serve a dare senso, colore, umorismo, tono, sfumature, voce umana.
GPTontolone può tradurre una frase, certo. Ma non sempre capisce alla perfezione perché un’espressione o una parola vada tradotta in un modo piuttosto che in un altro.
Da quel momento ho iniziato a consultare ChatGPT per i contenuti più generici, chiedendogli di tradurre una frase piuttosto che un’altra, sgridandolo quando esagerava, correggendolo, insegnandogli i modi di dire italiani (e che no, “farfalle al pomodoro” non si traduce letteralmente con “butterflies to tomato”).
Lui, instancabile, ha sempre continuato a imparare. E, a migliorare.
Oggi l’Intelligenza Artificiale è un mio alleato. È passato da essere ChatGPTontolone a Tontolino, perchè essendo un’amante dei diminutivi (quelli che finiscono per –ino, soprattutto) quando mi rivolgo a qualcuno con questa desinenza finale allora vuol dire che è entrato nelle mie simpatie.
GPTontolino non mi ha rubato il lavoro, l’ha modificato. Ha alleggerito le mie giornate, velocizzando alcuni compiti di routine e più noiosi, crea le bozze, semplifica la terminologia ripetitiva, suggerisce alternative quando il mio cervello è ancora in stand-by (di solito prima del il secondo caffè).
Non è più una minaccia ma uno strumento. Un assistente stacanovista e a tratti poetico, con il quale ho trovato un equilibrio.
Lui macina, io rifinisco. Lui propone, io trasformo. Lui fa il grosso, io rileggo e faccio il bello.
L’IA non è la fine del mestiere di traduttrice ma una sua evoluzione.
Non serve combattere il progresso tecnologico ma capirlo. Gestirlo. Imparare ad utilizzarlo da esperte come un’estensione del proprio talento, non come un suo sostituto. Chi traduce col cuore non deve temere chi traduce con codici e chiavi.
Perché anche la tecnologia più avanzata ha bisogno di una mente umana che gli dia l’input di cosa fare e modificare.
E da allora stiamo vivendo (e traducendo) felici e contenti.
Tra un click, un sorriso e un backup giornaliero.
L’unica certezza di tutta questa storia è che continuo a detestare il mercoledì, così come il tofu.